lunedì 2 settembre 2013

I mille giorni di Allende (seconda parte)


L'azione degli Stati Uniti è certamente una delle cause che hanno portato alla fine tragica dell'esperienza cilena dopo mille giorni di governo. Ma questa considerazione non deve far trascurare il fatto che il sogno rivoluzionario di Allende nasce già debole in un paese diviso, sia da un punto di vista politico sia da quello delle condizioni sociali ed economiche. E questa fragilità accompagnerà sempre l'esperimento Allende.

Tanto per cominciare il candidato delle sinistre non dispone della maggioranza assoluta. Per Allende, nel 1970, ha votato poco più di un milione di cittadini (1.070.334 voti), il 36,2% dell'elettorato, contro gli 821. 501 suffragi" (il 27,4 %) raccolti da Rodomiro Tomic, il candidato della Democrazia Cristiana che si è presentato agli elettori con un programma radicale che prevede espropri a vantaggio degli agricoltori e la nazionalizzazione delle miniere di rame. Soprattutto, però, l'alleanza delle sinistre (comunisti, socialisti, radicali e socialdemocratici) ha battuto di misura Jorge Alessandri, ex primo ministro sostituito nel '64 dal democristiano Eduardo Frei candidato dalla destra, che ha raccolto 1.031.159 voti, ovvero 39.175 in meno di Unidad Popular. Allende è in testa, insomma, ma di poco. E molti attribuiscono il sorpasso ai danni di Alessandri all'infelice conferenza tv del candidato di destra, apparso tanto vecchio da rasentare il rimbambimento ("Vedete che le mie mani non tremano!" disse lo stesso Alessandri davanti alle telecamere il giorno del voto, cercando con poco successo di rimediare alla magra figura). La grande rivoluzione nasce quindi da una vittoria elettorale risicata, tutt'altro che trionfale a un'analisi approfondita perché le sinistre oltre tutto non sono nemmeno in ascesa. Nelle elezioni del '70 le sinistre avevano ottenuto infatti, una percentuale di voti inferiore a quella raggiunta nel '64 (quando Allende ottenne il 38% abbondante nonostante i massicci aiuti della CIA al candidato democristiano) tra i nuovi elettori, nel '70, Unidad Popular ottiene solo il 13,3 % dei voti. La frana della democrazia cristiana, dopo le delusioni della rivoluzione nella libertà di Edoardo Frei, aveva portato quindi più consensi alla destra che non alla sinistra radicale. Nella stessa Democrazia cristiana, poi, buona parte dell'elettorato e del partito erano senz'altro a destra delle posizioni espresse da Tomic.
Anche il panorama economico non è dei più favorevoli. L'avvio della nazionalizzazione delle miniere di rame non ha portato  i frutti sperati con i debiti del Cile che sono saliti oltre il livello di guardia, al punto che metà dell'export serve a pagare gli interessi. L'indipendenza economica, inoltre, resta un sogno, visto che il 60% dell'import è legato agli Stati Uniti, mentre la moderata crescita dei consumi della metà degli anni '60, la chiave del riformismo di Frei, si è tradotta in un esplosione inflazionistica. A Melipilla, non lontano dalla capitale, i contadini occupano 44 haciendas agricole e Alessandri, il candidato della destra, non riesce a raggiungere il sud del paese perché i minatori sbarrano la ferrovia al suo passaggio. Anche la destra fa le prime prove di saldatura tra gli interessi della grande borghesia e i ceti medi, ma la vera, ben più inquietante, novità è il maggiore attivismo di un nuovo protagonista, fino ad allora eccezione nel panorama latino-americano, assente dalla scena politica: l'esercito. Il 29 settembre 1969, un anno prima dell'elezione di Allende il reggimento di Yungai, punti di diamante dell'esercito, arriva in ritardo al Te Deum in onore del presidente della Repubblica. È un atto di insubordinazione (che costa il posto a sei ufficiali) presto imitato il generale Viaux, comandante del primo corpo d'armata, occupa una caserma di Santiago per protesta contro le paghe basse dell'esercito. Una rivendicazione sindacale destinata a rientrare, ma anche una inquietante spia d'allarme. È questo il Paese che Allende dovrà governare. Ma prima, poiché nessuno ha ottenuto la maggioranza assoluta, spetterà al congresso scegliere tra i due candidati che hanno riportato il maggior numero di suffragi.

(estratti dall'omonimo articolo di Ugo Bertone pubblicato su STORIA ILLUSTRATA nel giugno 1999 e reperibile integralmente su http://www.ossimoro.it.)

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